Commercio e beni storici

Attività commerciali e tutela dei beni storici: una convivenza difficile

Il patrimonio storico e artistico italiano non ha eguali nel mondo, questo lo sappiamo. Che sia Venezia, Firenze, Roma, o un piccolo borgo dell’Italia medievale, dire che ogni pietra trasuda arte e bellezza è quasi una banalità. Ed è altrettanto ovvio che a sfruttare economicamente l’irripetibile connubio tra storia, cibo e bei panorami siano prima di tutto commercianti e ristoratori. Ma le esigenze dell’impresa non sempre vanno a braccetto con quelle del patrimonio artistico, per quanto il successo commerciale dipenda in gran parte dalle attrattive culturali e ambientali.

20150412_153413.jpgForse l’esempio più estremo di questo conflitto tra interessi contrapposti è Venezia. Lì ogni angolo di strada rischia di essere occupato da sedie, tavolini, tendoni, gazebo, dehors, chioschi, ecc., a servizio di un turismo low cost che ha esigenze di consumo immediato, e vaga tra le calli come se si trattasse di un enorme outlet village. Me ne sono reso ben conto quando sono stato impegnato per un mese intero a fare docenze al personale del Capoluogo veneto. Invertire questa tendenza non è per niente facile. introdurre divieti e puntare su proposte più selettive, in grado di attirare un turista più rispettoso e consapevole, è una medaglia che ha un suo rovescio. Quando ci si muove in questa direzione, il risultato è sempre un danno economico per molti. Perché il turista di alto livello, per quanto abbia maggiore capacità di spesa, non riesce ad assicurare la pioggia di denaro proveniente dal turismo di massa. È una questione di numeri. E i numeri sono spietati.

bar-2882955_1920.jpgEcco allora che il risultato di un’economia turistica improntata all’accoglienza a tutto tondo purché si incassi, lo paghiamo in termini di decoro urbano, vivibilità dei centri storici, episodi di inciviltà, degrado diffuso. Non è solo questione di cafonaggine. Quello stesso patrimonio artistico, che rappresenta una delle poche risorse non delocalizzabili, è anche estremamente fragile. E poi i centri storici non sono un monopolio nelle mani di commercianti e turisti, ma appartengono a tutti, in particolar modo a chi ci vive, ai residenti. All’ultimo posto, se non altro per dare la precedenza alle emergenze sanitarie e di sicurezza, mettiamo il diritto a godere della bellezza, perché la facciata di una chiesa, una piazza, un monumento, uno scorcio, non siano assediati o nascosti da una massa di installazioni precarie e spesso esteticamente inguardabili.

Ma la normativa in vigore, per quanto ingarbugliata e confusionaria, come nella migliore tradizione italiana, offre non pochi strumenti a disposizione delle Amministrazioni per contrastare la “commercializzazione esasperata” dei centri storici, a protezione del decoro urbano e della vita dei residenti. L’obiettivo non è però innescare una guerra tra chi sta dall’una o dall’altra parte della barricata. Le leggi servono ad introdurre strumenti e soluzioni per consentire la convivenza di opposti interessi. A città come Venezia, Firenze e Roma, la Giurisprudenza ha addirittura riconosciuto “particolari poteri” a tutela del patrimonio storico e artistico, in quanto sottoposte ad un’eccezionale “pressione antropica” (così si esprimono i nostri giudici!), dovuta alla forte presenza di turisti. Questo vale per le grandi realtà, che ospitano tesori artistici di inestimabile valore, ma le norme sono studiate per tutelare anche il patrimonio storico e ambientale dei piccoli centri e delle zone rurali. Anche qui si ha il diritto di godere della bellezza che ha fatto innamorare tanti scrittori e artisti stranieri.

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W. Turner, “Roma vista dal Vaticano” 1820

 

Di seguito un elenco e un breve estratto dei miei principali scritti sul connubio tra commercio e beni culturali:

Per bar e ristoranti in piazza serve l’autorizzazione delle Belle Arti (infocommercio.it, 2014) “Tempi duri per bar e ristoranti nei centri storici. Come se non bastassero crisi economica, disturbo della quiete pubblica, consumo di alcolici e ludopatie, a complicare ulteriormente la vita ai pubblici esercizi ci hanno pensato anche le Belle Arti. Con la comunicazione n. 5817 del 3 marzo scorso, il Ministero per i Beni e le Attività Culturali ha fatto sapere che l’occupazione di vie e piazze nei centri storici con tavolini, sedie, ombrelloni, ecc. è soggetta ad autorizzazione preventiva della competente Soprintendenza. […]”

 Il conflitto tra tutela del patrimonio storico-artistico e sviluppo delle attività economiche alla luce della più recente giurisprudenza (infocommercio.it, 2014) “Torniamo sul tema della difficile convivenza tra le esigenze di salvaguardia del patrimonio artistico dei nostri centri storici e quelle di sviluppo delle attività che vi sono insediate, con particolare riferimento al commercio e alla somministrazione. È interessante notare come, dopo la liberalizzazione di licenze ed orari delle attività, le amministrazioni comunali stiano cercando di correre ai ripari, con misure finalizzate a garantire la vivibilità e la fruibilità dei nuclei storici. Coniugare tutela e sviluppo è tuttavia un’operazione tutt’altro che facile, data la complessità e la molteplicità degli interessi in gioco. La più recente evoluzione giurisprudenziale, prendendo spunto da precedenti più datati, si è sforzata di offrire alcuni criteri per orientare gli operatori impegnati nella composizione di questo annoso conflitto. […]”

Il decreto “Artbonus” diventa legge: ridimensionati i poteri delle Belle Arti (infocommercio.it, 2014) “Porta la data del 29 luglio scorso la legge n. 106, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 31/07/2014 n. 175, che ha convertito in legge il decreto n. 83 del 31/05/2014, meglio noto come decreto “Artbonus”, un pacchetto di misure su cui l’Esecutivo ha puntato per il rilancio della nostra economia attraverso una maggiore valorizzazione dello sterminato patrimonio storico e artistico italiano. Il decreto ha introdotto nuove norme nell’ambito dell’annoso conflitto tra tutela dei beni storici ed esigenze del commercio e delle attività economiche in genere, con una vigorosa sterzata verso una più rigida protezione del patrimonio. […]”

 Tutela dei beni storici e limiti alle attività economiche: i “particolari poteri” di Venezia vanno motivati (Sistema Leggi d’Italia – Quotidiano Enti Locali, 2014) “Il contemperamento tra le esigenze di tutela del patrimonio storico-artistico e lo sviluppo delle attività economiche è destinato a rimanere uno dei principali nodi irrisolti per le amministrazioni comunali italiane. Nel caso deciso dal Consiglio di Stato con la Sent. n. 1860 del 16 aprile 2014, un imprenditore privato si è visto respingere un’istanza per l’apertura di un pubblico esercizio nel Sestriere San Marco a Venezia, in quanto un’ordinanza sindacale aveva previsto che nell’area interessata era possibile ottenere nuove autorizzazioni solo in caso di cessazioni di identici titoli precedentemente rilasciati. La mancanza di un adeguato percorso istruttorio e motivazionale a sostegno dell’ordinanza sindacale ha reso illegittimo il diniego di autorizzazione all’apertura di un pubblico esercizio. […]”

 Sale giochi: pubblici esercizi o locali di intrattenimento? Lo stato dell’arte della Giurisprudenza sulle attività a convivenza difficile (Sistema Leggi d’Italia – Quotidiano Enti Locali, 2014) “[…] Da uno sguardo più ampio sul panorama della più recente casistica in materia, si evince che il punto critico di ogni intervento pubblico limitativo dell’iniziativa imprenditoriale in settori difficili (sale giochi, orari dei locali pubblici, sexy shop, ecc.), risiede proprio nella mancanza di un adeguato supporto motivazionale a sostegno delle scelte nel merito adottate, spesso ritenute dalla Giurisprudenza incoerenti, sproporzionate o comunque ingiustificate rispetto allo scopo, pur astrattamente condivisibile, di tutelare il pubblico decoro, il riposo notturno e altri interessi generali. […]”

 Divieti e limiti di distanza per alcune attività economiche: quando i centri storici diventano zone off-limits (infocommercio.it, 2014) “Per esigenze sottese al rispetto dei valori architettonici e ambientali, del contesto sociale e del decoro, un Comune ha adottato una deliberazione che vietava lo svolgimento in centro storico di attività quali la vendita ed erogazione di servizi mediante distributori automatici in locale ad uso esclusivo, le lavanderie self-service e a gettone, nonché la vendita di materiale erotico o pornografico. Il Tar, su ricorso di un esercente l’attività di sexy shop, ha ritenuto illegittima tale deliberazione comunale, in quanto i divieti sono stati imposti senza un preventivo bilanciamento tra le esigenze di liberalizzazione e la tutela di valori quali la salute, i beni culturali, l’ambiente. […]”

 Legittimo il regolamento comunale che esclude la “commercializzazione esasperata” dei centri storici (Sistema Leggi d’Italia – Quotidiano Enti Locali, 2014) “Continua l’opera di “controriforma” delle liberalizzazioni ad opera del Consiglio di Stato, quando sono le esigenze di sostenibilità e vivibilità dei centri storici a prevalere sulla libertà di apertura delle attività economiche, in particolare nel caso dei pubblici esercizi. Ribaltando le conclusioni a cui era giunto il giudice di primo grado, la Quinta Sezione del Consiglio di Stato ha stabilito la legittimità di un diniego formulato da Roma Capitale rispetto alla domanda di apertura di un pubblico esercizio della somministrazione di alimenti e bevande in un’area che in base alla programmazione comunale non poteva più ospitare nuove aperture o trasferimenti. […]”

Salvaguardia dei centri storici e tutela della concorrenza: quando a prevalere è la tradizione (Sistema Leggi d’Italia – Quotidiano Enti Locali, 2014) “[…] Nei tempi più recenti, stiamo assistendo ad una sempre maggiore presa di coscienza, da parte di certa giurisprudenza amministrativa, circa l’importanza di salvaguardare i nuclei storici delle città dal pericolo di una “commercializzazione esasperata“. Il T.A.R. Lazio ha ritenuto legittimo il rigetto di un’istanza per l’apertura di un pubblico esercizio della somministrazione. Alla base del diniego, la stringente normativa adottata dal Comune per regolare le nuove aperture di attività in centro. Con lo scopo di preservare intatte le caratteristiche identitarie di alcune zone del centro storico, l’amministrazione ha infatti sottoposto le nuove aperture all’obbligo di garantire la continuità di settore merceologico rispetto all’esercizio cessato.

Limiti alle attività commerciali nei centri storici: tornano in auge le distinzioni merceologiche (Sistema Leggi d’Italia – Quotidiano Enti Locali, 2015) “La recente tendenza a riconoscere l’importanza delle aree di pregio storico, artistico o ambientale sembra aver riportato in auge le ormai dimenticate merceologie distributive, ormai soppiantate da quasi vent’anni ad opera del D.Lgs. Bersani n. 114 del 1998, che ha introdotto la dicotomia tra settore alimentare e non, senza ulteriori articolazioni. Il T.A.R. Lazio ha respinto il ricorso di un commerciante di prodotti non alimentari di vario genere che è stato sanzionato per aver posto in vendita articoli di bigiotteria quando una delibera del Comune lo vietava, in ossequio ad esigenze di salvaguardia del patrimonio storico. […]”

 L’esigenza di valorizzare il patrimonio storico giustifica il divieto di subingresso nella concessione di suolo pubblico (Sistema Leggi d’Italia – Quotidiano Enti Locali, 2015) “[…] A seguito della presentazione di una Scia per subingresso in un posteggio esistente all’interno di un’area mercatale del centro storico, con un provvedimento interdittivo, il Comune è intervenuto sull’inerzia formatasi nei confronti della Scia, in quanto l’attività si configurava in conflitto con le previsioni del piano comunale del commercio, che in materia di concessioni di aree pubbliche prevedeva una serie di limitazioni e, in particolare, il divieto di subentro nel caso di cessazione. Dopo il rigetto incassato in primo grado, la ricorrente si è rivolta al Collegio d’appello, che però è rimasto allineato sulle conclusioni del Tribunale. […]”

 Vincolo indiretto a tutela dei beni culturali: legittimo se in equilibrio con le esigenze di valorizzazione (Sistema Leggi d’Italia – Il Quotidiano per la P.A., 2015) “Nell’apposizione del c.d. “vincolo indiretto” previsto dall’art. 45, D.Lgs. n. 42 del 2004, l’Amministrazione preposta alla salvaguardia del patrimonio culturale ha facoltà di prescrivere le distanze, le misure e le altre norme dirette ad evitare che sia messa in pericolo l’integrità dei beni culturali immobili, ne sia danneggiata la prospettiva o la luce o ne siano alterate le condizioni di ambiente e di decoro. Tali prescrizioni sono immediatamente precettive e recepite nei regolamenti edilizi e negli strumenti urbanistici degli enti territoriali interessati. […] L’intervento di salvaguardia deve però tenere nella giusta considerazione non solo le esigenze di conservazione statica, ma anche quelle di fruizione e valorizzazione dinamica […].

 Centri storici e piccolo commercio: quando si può limitare la grande distribuzione (Sistema Leggi d’Italia – Il Quotidiano per la P.A., 2016) “Sarebbe più opportuno parlare di “regolazione” commerciale piuttosto che continuare ad utilizzare l’ormai desueto termine “pianificazione”, tuttavia la possibilità per gli enti locali di introdurre divieti di apertura non è morta con l’avvento delle liberalizzazioni. Anzi, in determinati casi, se impiegata per difendere il piccolo commercio nei centri storici, diventa uno strumento per ostacolare lo sviluppo della grande distribuzione in periferia. Il caso esaminato nella sentenza del T.A.R. Piemonte, offre un esempio di come il piccolo commercio tradizionale, nell’ambito delle scelte insediative degli enti locali, possa avare la meglio sulla grande distribuzione […]”.

Sviluppo turistico e tutela della vivibilità dei centri storici: il punto di equilibrio con le previsioni urbanistiche (Sistema Leggi d’Italia – Il Quotidiano per la P.A., 2018) “Coniugare la spinta allo sviluppo turistico alle esigenze di vivibilità dei nostri centri storici è sempre difficile. Un Comune ha emesso un provvedimento di diniego al rilascio di nulla-osta igienico sanitario per l’attività di affittacamere, avviata in centro storico. Prima il T.A.R. e poi il Consiglio di Stato hanno respinto il ricorso, in quanto è stata riconosciuta la finalità di salvaguardia degli alloggi destinati alla residenza, insieme alle esigenze di tutela delle condizioni di vivibilità del tessuto urbano, altrimenti compromesse in caso di crescita esorbitante delle strutture ricettive. […]”.


Un po’ di Giurisprudenza in sintesi:

Restrizioni al commercio su aree pubbliche – coordinamento tra amministrazioni. Se le misure di tutela indiretta del bene culturale, la cui individuazione è facoltà del Mibac, implicano restrizioni al commercio su area pubblica, la disciplina incide su materie di competenza concorrente delle Regioni e dei Comuni. questo richiede la necessità di un coordinamento tra le amministrazioni preposte alle rispettive tutele. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 140 del 2015 ha dichiarato incostituzionale l’articolo 52, comma 1 ter, nella parte in cui esso non prevedeva l’intesa anche con le Regioni per le misure di valorizzazione culturale consistenti appunto nella previsione di divieto di usi non compatibili con il decoro dei complessi monumentali dei centri storici, con particolare riferimento alle attività ambulanti, con o senza posteggio, e alle occupazioni di suolo pubblico. L’intervento della Corte costituzionale è stato poi recepito dal legislatore con l’art. 16, comma 1-ter, legge n. 125 del 2015, che ha emendato l’art. 52, comma 1 ter, d.lgs. n. 42 del 2004.
Tar Lazio – Roma, Sezione 2 ter, sentenza del 9 giugno 2016, n. 6754

Concessione demaniale permanente – centro storico – divieto di tutte le forme di uso del suolo pubblico – provvedimento del Mibac – mancata intesa e coinvolgimento della Regione e del Comune – annullamento della revoca
Il Comune nell’adottare provvedimenti applicativi del divieto di utilizzazione dell’area pubblica ha agito in mera esecuzione delle prescrizioni imposte dal decreto Mibac, senza portare un proprio contributo valutativo o decisionale. La Regione non risulta in alcun modo coinvolta nella procedura. Dovrà quindi essere ripetuto il procedimento ai fini dell’individuazione delle misure di tutela applicabili all’area di riferimento, con coinvolgimento della Regione e del Comune, ai sensi dell’articolo 52 del dlgs. 42/2004.
Tar Lazio – Roma, sezione 2 ter, sentenza del 6 giugno 2016, n. 6495

Esercizio di attività commerciali – Esigenze di decoro dell’ambiente urbano circostante – Art. 52 del D.Lgs. 42/2004 – Adeguata valutazione degli interessi pubblici sopravvenuti rispetto a quelli apprezzati al momento del rilascio del titolo
L’art. 52 del D.Lgs. 42/2004 riconnette la disciplina di tutela dei beni aventi rilievo storico, artistico e culturale, con quella – di ordine commerciale – che presiede la regolazione delle attività di libera iniziativa economica su area pubblica. Nonostante la costante riduzione normativa dei limiti ai quali assoggettare l’iniziativa economica, residua ancora uno specifico potere della Pa di individuare su base territoriale ambiti e forme di protezione dell’ambiente urbano che si sostanzino in una interdizione – qualitativa o quantitativa – allo svolgimento di attività commerciali alle condizioni di legge (si veda Cons. Stato, sent. 17 luglio 2014, n. 3802). La concessione OSP per l’esercizio di un’attività di tipo commerciale, d’altra parte, non costituisce un diritto soggettivo pieno e perfetto alla fruizione della superficie concessa, essendo soggetta ad una permanente regolamentazione della Pa relativa non solo all'”an” della sua concessione, ma anche all’utilizzo dell’area e la sua revocabilità per ragioni di interesse generale, tra le quali rientra certamente anche l’esigenza di tutela del decoro dell’ambiente urbano circostante, e la sicurezza pubblica: ciò tuttavia non implica un indiscriminato potere della Pa di rimuovere situazioni fondate su legittimi titoli amministrativi a suo tempo concessi, specie in riferimento a circostanze consolidate o risalenti nel tempo, dovendosi pur sempre valutare adeguatamente gli interessi pubblici sopravvenuti rispetto a quelli a suo tempo apprezzati quando il titolo veniva rilasciato.
Tar Lazio – Roma, Sezione 2 Ter, Sentenza del 3 dicembre 2015 n. 13709

Beni culturali – Commercio – Codice dei beni culturali e del paesaggio – Disciplina del commercio in aree di valore culturale – Previsto conferimento ai competenti uffici ministeriali ed ai Comuni di un potere di riesame e di revoca delle autorizzazioni e delle concessioni di suolo pubblico ai fini dell’esercizio di attività commerciali e artigianali – Incidenza su materie di competenza regionale, concorrente o residuale – Assenza di intesa tra Stato e Regioni – Violazione del principio di leale collaborazione – Necessità di prevedere il coinvolgimento delle Regioni nel procedimento – Illegittimità costituzionale in parte qua – Assorbimento di ulteriori motivi di censura
È costituzionalmente illegittimo per violazione degli artt. 5 e 120 Cost., l’art. 4 del d.l. 31 maggio 2014, n. 83 (convertito dalla legge 29 luglio 2014, n. 106), nella parte in cui non prevede alcuno strumento idoneo a garantire la leale collaborazione tra Stato e Regioni. La disposizione impugnata, che modifica l’art. 52 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, assegnando ai competenti uffici territoriali del Ministero il potere, d’intesa con i Comuni, di riesaminare le autorizzazioni e le concessioni di suolo pubblico, potendo revocare, anche in deroga alle norme vigenti, quelle non più compatibili con le esigenze di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, stabilendo altresì, in tal caso, i criteri per la determinazione dell’eventuale indennizzo. Tale patrimonio, costituendo un bene intrinsecamente comune e refrattario ad arbitrarie frantumazioni, è affidato alla cura della Repubblica nelle sue varie articolazioni, dovendosi pertanto individuare una ideale contiguità tra le funzioni di tutela (intesa come l’individuazione, la protezione e la conservazione dei beni che costituiscono il patrimonio culturale), affidate alla competenza esclusiva dello Stato, e quelle di valorizzazione (intesa come la migliore conoscenza, fruizione e utilizzo dei medesimi), assegnate invece alla competenza concorrente di Stato e Regioni. Come nel caso in esame tale contiguità può determinare, nella naturale dinamica della produzione legislativa, una situazione di concorrenza di competenze, causata dalla circostanza che la norma statale di tutela detta una disciplina incidente direttamente e non in via riflessa sull’ambito della valorizzazione. Non potendosi ravvisare in queste occasioni una materia (e una competenza) prevalente sulle altre, e non essendo applicabile il criterio della prevalenza, si impone quello della leale collaborazione tra Stato e sistema delle autonomie, di cui agli artt.5 e 120 Cost.
Corte Costituzionale, sentenza del 9 luglio 2015 n. 140.

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