P.A. digitale

Alla luce della crescente informatizzazione – nonostante le resistenze che si incontrano un po’ ovunque – i principi e gli istituti giuridici su cui da sempre si regge l’attività amministrativa stanno inesorabilmente cambiando. Il potenziale insito nei nuovi strumenti informatici è talmente incisivo, da mettere in crisi la tradizionale indifferenza ed estraneità del diritto rispetto alla tecnologia. Il nuovo procedimento informatico, rispetto al precedente modello cartaceo, appare più rigido, standardizzato, incanalato in schemi seriali, in definitiva più impersonale.

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Ciò non deve creare incertezze o ripensamenti. Mentre in passato le burocrazie hanno abusato della rigidità procedurale per negare le libertà individuali, ora, al contrario, i nuovi schematismi tecnologici sono in grado di assolvere, se ben impiegati, ad una funzione diametralmente opposta: realizzare i “diritti digitali” nell’accezione più avanzata, assicurando livelli minimi di garanzia e qualità delle prestazioni in termini di immediatezza, certezza, efficienza, economicità, imparzialità, trasparenza, accessibilità, conoscenza, che si pongono ad esclusivo servizio del cittadino e dei suoi bisogni. In altre parole, deviare dal modello telematico significa, per principio, erogare un servizio peggiore. Gli echi di tale impostazione si trovano anche nella giurisprudenza costituzionale che per la prima volta, ha assimilato i diritti digitali ai livelli essenziali delle prestazioni (l.e.p.), da garantire in modo uniforme su tutto il territorio nazionale. L’ulteriore sviluppo di questo percorso interpretativo mette in seria crisi il principio del digital first, ancora saldamente alla base della disciplina sull’amministrazione digitale. In base ad esso, la gestione dell’attività amministrativa avviene principalmente in digitale, e il ricorso al cartaceo è limitato al caso in cui sia il cittadino a richiederlo. Ammettere la possibilità di reintrodurre il cartaceo nel caso in cui il cittadino non sia informatizzato, magari perché anziano o appartenente a fasce deboli, significa negare un diritto, quello alle prestazioni digitali, per il quale gli Enti hanno il compito di offrire un livello qualitativo uniforme ed essenziale su tutto il territorio. È di tutta evidenza come le amministrazioni non dovrebbero sostenere prassi atte a negare i diritti digitali, ma al contrario, adoperarsi per la loro più piena realizzazione.

Per approfondire:

Il processo di informatizzazione ha rivoluzionato i rapporti cittadino-P.A. e inciso anche su principi e istituti giuridici che da sempre reggono l’attività amministrativa, al punto da mettere in crisi la tradizionale indifferenza ed estraneità del diritto rispetto alla tecnologia. Tuttavia, al lato pratico, il passaggio dalla carta al digitale stenta a decollare. Occorre diffondere metodi e buone prassi per una vera digitalizzazione, costruita su automatismi procedurali e capace di produrre risultati misurabili in termini di efficienza e qualità, cavalcando l’idea di una Pubblica Amministrazione aperta, semplice, affidabile, partecipata ed inclusiva.

L’informatizzazione dell’attività amministrativa: una rivoluzione rimasta “sulla carta”?
La normativa italiana sulla digitalizzazione della P.A., tra balzi in avanti e clamorose retromarce, si è evoluta attraverso un percorso tortuoso, conoscendo fasi alterne non prive di contraddizioni. Ancora oggi, a distanza di quasi trent’anni dai primi interventi in materia di ICT, in molti ambienti istituzionali la concezione cartacea è di gran lunga predominante.
Alla base di questa ritrosia nell’attuazione dei principi della P.A. digitale, una complessa serie di ragioni anche culturali, tra cui l’assenza di una regia unica dei processi informatici, la dimensione involuta delle nostre burocrazie, la pressoché assoluta mancanza di iniziative sull’alfabetizzazione informatica dei cittadini, le gravi carenze infrastrutturali in tema di banda larga, senza dimenticare l’enorme ritardo rispetto agli altri Paesi UE nell’introduzione delle lingue straniere nel sistema scolastico. Dunque un fenomeno che trascende l’apparato pubblico ed investe tutta la società.
regulation-3429486_1920È proprio questo lo scenario che emerge analizzando le ultime proiezioni dell’indice DESI con riferimento all’Italia, utili per individuare la collocazione della nostra società in ambito europeo e comprendere, allo stesso tempo, l’origine delle tante difficoltà che affliggono il processo di informatizzazione, con particolare riferimento ai servizi della P.A.. Tra i 28 Paesi UE, l’Italia si colloca drammaticamente indietro, alla posizione 25; peggio di noi fanno solo Grecia, Bulgaria e Romania. Il distacco più ampio rispetto agli altri Paesi riguarda la connettività e la copertura della banda larga, dove siamo addirittura penultimi . Anche sul fronte della banda larga fissa gli indicatori si attestano su livelli molti bassi, stante lo scarso livello di alfabetizzazione informatica, mentre per la banda mobile siamo nella media europea. Sotto la media è inoltre la voce capitale umano, tuttavia non mancano i progressi quanto all’uso di internet per acquisti e transazioni. Stesso discorso vale per l’e-businnes, sotto media ma tuttavia in crescita. Per quanto riguarda invece l’e-Government, se in tema di disponibilità di servizi digitali l’Italia ha fatto progressi ed appare in linea con la media europea, sul fronte della diffusione e dell’uso di tali servizi il dato è tra i più bassi in assoluto, facendo del nostro Paese uno dei fanalini di coda dell’UE. Dunque, se da un lato l’Italia è sempre stata all’avanguardia nella diffusione di telefoni cellulari e smartphone, dall’altro si trova a dover fare i conti con un gap piuttosto rilevante quando internet deve essere utilizzato per dialogare con la Pubblica Amministrazione.

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L’indice DESI (Digital Economy and Society Index), elaborato annualmente dalla Commissione Europea, evidenzia il grado complessivo di informatizzazione di un Paese

Anche se l’arretratezza italiana nell’ambito dei servizi pubblici digitali non è solo imputabile agli apparati burocratici, ma coinvolge la società nel suo insieme, è evidente che la macchina amministrativa ha un ruolo determinante rispetto alla possibilità di superare le attuali criticità. Il Consiglio di Stato ha recentemente avuto modo di pronunciarsi sulle ragioni che stanno alla base di questa anomalia italiana rispetto agli altri Paesi. Nel Parere n. 785 del 23 marzo 2016, sono evidenziate le principali problematiche nei confronti dell’informatizzazione nella P.A., così riassumibili: forte attaccamento all’uso del cartaceo nell’attività delle Amministrazioni; complessità e incompletezza della vigente disciplina sul domicilio digitale dei cittadini e delle imprese; utilizzo di software con standard non aperti e dipendenti da specifiche tecnologie proprietarie, differenti in ciascuna Amministrazione; carenza di forme d’integrazione dei soggetti interessati con i sistemi informativi; assenza di una identità digitale per cittadini e imprese per l’utilizzo dei servizi di e-Gov, unitamente alla mancanza di effettività dei principi di cittadinanza digitale; analfabetismo digitale nella cittadinanza; pagamenti elettronici ancora troppo complessi; incompetenza tecnologica dei dirigenti pubblici per effettuare una migrazione al digitale; difficoltà di navigazione sui siti internet delle pubbliche amministrazioni, per la ricerca di documenti e informazioni pubbliche.
In ambito internazionale, lo scenario offre tutt’altra prospettiva. Il Rapporto OCSE 2016 intitolato “Digital Government strategies for transforming public services in the welfare areas”, delinea un percorso evolutivo della Pubblica Amministrazione digitale che tende ad abbandonare l’approccio efficentista proprio del New Public Management (NPM), basato sull’uso delle tecnologie informatiche per conseguire esclusivamente riduzioni di costi, per approdare ad un sistema più all’avanguardia, denominato Digital Era Government (DGE), che si focalizza su un maggiore coinvolgimento dei cittadini nella vita pubblica. Attraverso l’uso delle tecnologie, gli utenti potranno manifestare il proprio punto di vista, indicare bisogni e preferenze, partecipare alle decisioni, al fine di fornire ai soggetti pubblici informazioni indispensabili per riprogrammare la stessa azione amministrativa e le relative priorità, con immediati riflessi sui contenuti dei servizi e sulle modalità di erogazione degli stessi nei confronti dei destinatari. Se questi scenari costituiscono ormai una realtà per i Paesi del nord Europa, in Italia il quadro appare alquanto incerto e complesso, oltre che non privo di insidie e contraddizioni. Rimaniamo senz’altro affascinati di fronte alle esperienze provenienti dai Paesi che attraverso la digitalizzazione, per l’appunto, sono riusciti a modernizzare i propri apparati per renderli non solo più efficienti, ma anche in grado di aumentare la capacità inclusiva, il livello di partecipazione dei cittadini, e la fiducia nelle istituzioni. Sull’onda di queste suggestioni, si è sviluppata anche da noi una certa sensibilità verso i temi dell’Open Government e della trasparenza amministrativa, che sul piano normativo si è dapprima concretizzata nella L. n. 190/2012, poi seguita dal D.Lgs. n. 33/2013, e, da ultimo, con il D.Lgs. n. 97/2016, approdata alla versione italiana del Freedom Of Information Act (FOIA), senza dimenticare i molteplici riferimenti contenuti nel CAD.
computer-1951964_1280.jpgConcentrandosi all’ambito europeo, prima di passare al fronte interno, le iniziative messe in campo per lo sviluppo dell’informatizzazione assumono grande rilevanza. “Europa 2020” è la strategia decennale dell’Unione europea per la crescita e l’occupazione, varata nel 2010 per creare le condizioni favorevoli ad una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva. In questo ambito, ha assunto particolare rilievo l’Agenda Digitale Europea (ADE), che punta allo sviluppo delle tecnologie dell’informazione quali strumenti per raggiungere gli obiettivi prefissati dall’UE per il 2020. nello specifico, si punta sulla diffusione dell’informatizzazione allo scopo di sfruttare il potenziale sociale ed economico insito nelle ITC quale leva fondamentale per favorire lo sviluppo di relazioni in tutti i risvolti della vita delle persone: pubblici, privati, collettivi e individuali, al fine di ottenere il meglio da internet e dalle tecnologie digitali, oltre che per creare di nuovi orizzonti imprenditoriali e migliorare la qualità del vivere.
In questo contesto si è innestata la strategia italiana di attuazione dell’Agenda Digitale Europea, avviata con l’art. 47 del D.L. n. 5/2012, convertito dalla L. n. 35/2012, che ha definito i contenuti dell’Agenda Digitale Italiana (ADI). Si tratta di un’iniziativa a valenza programmatica con la quale il Governo si è posto l’obiettivo prioritario della modernizzazione dei rapporti tra pubblica amministrazione, cittadini e imprese, attraverso azioni coordinate dirette a favorire lo sviluppo di domanda e offerta di servizi digitali innovativi, a potenziare l’offerta di connettività a larga banda, ad incentivare cittadini e imprese nell’utilizzo di servizi digitali e a promuovere la crescita di capacità industriali adeguate a sostenere lo sviluppo di prodotti e servizi innovativi. Nei primi mesi del 2015, con lo scopo di risolvere le criticità evidenziate annualmente nei Rapporti DESI, hanno visto la luce due programmi governativi, adottati sulla base di una pubblica consultazione, finalizzati a superare le carenze infrastrutturali in tema di connettività (Strategia per la banda ultralarga) e a promuovere la diffusione delle competenze digitali (Strategia per la crescita digitale 2014-2020), con particolare riferimento alle vistose carenze di servizi di e-Gov, per renderli più efficienti ma soprattutto maggiormente fruibili da parte dei cittadini, oltre che per favorire l’alfabetizzazione informatica.
Per dare attuazione normativa ai programmi europei sopra illustrati, è intervenuto tra l’altro il Regolamento UE 23 luglio 2014, n. 910, noto con l’acronimo eIDAS (electronic IDentification Authentication and Signature). Tra gli obiettivi del provvedimento, rafforzare la fiducia nelle transazioni all’interno dell’Unione Europea, fornendo una base normativa comune per interazioni elettroniche sicure fra cittadini, imprese e Pubbliche Amministrazioni. Altra finalità, più specifica, riguarda l’aumento della sicurezza e dell’efficacia dei servizi elettronici, nonché delle transazioni di e-business e commercio elettronico nell’Unione Europea. In particolare, il Regolamento sancisce la piena interoperabilità a livello comunitario degli standard di firma digitale in esso indicati, che gli Stati membri sono obbligati ad accettare reciprocamente.
Sul versante del diritto interno, l’attuazione dei programmi sopra indicati ha perso avvio con la Legge n. 124/2015, meglio conosciuta come “Riforma Madia”, che ha delegato il Governo ad attuare un profondo restyling del Codice dell’Amministrazione Digitale, eliminando, da un lato, le tracce normative dei tanti fallimenti che si sono stratificati negli anni appesantendo la struttura del CAD, e, dall’altro, adeguando la disciplina interna al Regolamento eIDAS. Altri importanti obiettivi della delega, attribuire cogenza alle misure previste nei vari programmi d’intervento per uscire dall’impasse in cui da troppo tempo si è arenato il processo di digitalizzazione, per cercare di colmare le oggettive carenze infrastrutturali e sistemiche, oltre che per superare le resistenze interne e la mancanza di coordinamento, spesso dovute ad una pluralità di attori con competenze poco chiare e quasi in competizione tra loro. È importante sottolineare come la delega sia stata attribuita per garantire ai cittadini e alle imprese, anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, il diritto di accedere a tutti i dati, i documenti e i servizi di loro interesse in modalità digitale, nonché al fine di garantire la semplificazione nell’accesso ai servizi alla persona, riducendo la necessità dell’accesso fisico agli uffici pubblici. L’attuazione della delega è intervenuta con il D.Lgs. n. 179/2016, in vigore dal 14 settembre 2016. Il restyling operato sul CAD è stato incisivo, ha comportato interventi su quasi tutti gli articoli del provvedimento, circa trenta dei quali sono stati abrogati. Inoltre, è stata svolta una minuziosa opera di semplificazione, con ampi rinvii alla disciplina tecnica cui spetterà, a propria volta, il compito di soppiantare la regolamentazione oggi ancora vigente, ma ormai in via di superamento.
Emerge uno stridente contrasto tra le iniziative complessivamente alquanto sfidanti del Legislatore nazionale, e il bassissimo grado di diffusione dei servizi on-line nella P.A., al punto che in molti contesti istituzionali, il dibattito relativo all’informatizzazione è ancora fermo alla gestione delle problematiche inerenti il passaggio dal sistema cartaceo ad una qualche forma di digitalizzazione, di solito concepita come semplice riproduzione del sistema cartaceo su un supporto diverso, chiaro esempio di “informatica parallela” dove in computer è usato come moderna macchina da scrivere. Dunque, se all’estero, come si accennava più sopra, il sistema NPM (New Public Management) – basato sull’uso delle ICT per una semplice finalità di risparmio – è in via di superamento, in quasi tutte le istituzioni italiane esso rappresenta ancora un obiettivo considerato ambizioso, se non addirittura qualcosa di innovativo, un punto d’arrivo da realizzare nel futuro. Ma c’è di più. La riduzione dei costi sembra un risultato scontato anche per le più rudimentali e scoordinate operazioni di affrancamento dal cartaceo, quando invece gran parte di tali iniziative, proprio perché lasciate nelle mani di soggetti spesso improvvisati e prive di una coerente programmazione, comportano paradossalmente esiti opposti alle aspettative: costi maggiori, ulteriori complicazioni ed inefficienze, maggiore produzione cartacea. Questa convivenza del doppio canale, trova legittimazione da parte dello stesso Legislatore, che nel nuovo CAD ha scelto la strada del digital first, e cioè innanzitutto digitale, ma senza l’obbligo di abbandonare il cartaceo. Lasciare intatte le prassi ibride, anzi legittimarle al livello più alto, quello della normativa di rango primario, non tarderà a palesare i propri effetti nefasti sull’efficacia delle politiche di digitalizzazione, che finora, non a caso, sono slittate di rinvio in rinvio.
Nei Capitoli 2 e 3 del volume “Il nuovo procedimento amministrativo digitale” sono illustrati da più angolazioni pratiche i punti di debolezza connessi alla scelta del doppio canale, cartaceo e informatico, utilizzato in concomitanza. Per correttezza, si è dato conto delle argomentazioni sottese a tale scelta del Legislatore, anch’esse peraltro condivisibili in sé stesse. Tuttavia, ciò che non convince, è la decisione di mantenere il canale cartaceo come risposta all’arretratezza del Paese. Tutto ciò ha il sapore di una scelta di comodo, se non addirittura di una resa, quando invece si potevano intraprendere e programmare strade diverse. Ma c’è anche altro, con particolare riferimento ai costi economici e sociali in termini di mancata crescita dovuti al fallito decollo (switch-off) dell’informatizzazione, a sua volta alimentato, in un circolo vizioso, dalla stessa arretratezza della Pubblica Amministrazione. Insomma, il funzionale e pratico digital first, in quanto ennesimo rinvio del passaggio al digitale, rappresenta, contrariamente alle apparenze, una soluzione molto costosa, che paghiamo alcuni punti di PIL ogni anno.
Se il digital first al lato pratico non si dimostra soddisfacente perché continua a legittimare l’uso del cartaceo, com’è possibile erogare i servizi in forma esclusivamente digitale senza escludere intere fasce sociali? Anziani, disabili e persone svantaggiate come potranno rinunciare al cartaceo e trasmettere istanze e comunicazioni per via telematica? Questa è la principale obiezione che solitamente viene sollevata contro ogni tentativo di obbligare alla digitalizzazione in modo definitivo. E’ innanzitutto la difficoltà a fornire risposte adeguate a questi interrogativi che sta alla base del digital first, tenendo presente che l’attuale deficit di connettività è soltanto una, e nemmeno la più rilevante, tra le ragioni che hanno indotto a seguire questa strada. In realtà, se anche disponessimo già da ora della massima infrastruttura di connettività a copertura totale, il problema di includere nella digitalizzazione le fasce deboli manterrebbe tutta la sua rilevanza. Nel volume si indicano una serie di soluzioni, alcune delle quali di pronta realizzazione, mentre altre richiedono un certo lavoro preparatorio, in ogni caso si tratta di strategie a basso costo fondate su strumenti di inclusione sociale.
Da tutte le considerazioni sopra formulate, è proprio il caso di affermare, fuor di metafora, che l’informatizzazione della P.A. è una rivoluzione rimasta ancora “sulla carta”. Si può parlare di rivoluzione mancata perché i temi dell’informatizzazione popolano l’ordinamento fin dagli anni ’90, ma come abbiamo visto nelle analisi sopra illustrate, ai toni altisonanti che hanno accompagnato ciclicamente i tanti e tormentati progetti di riforma, non è poi seguita da parte del sistema complessivamente inteso, la capacità di concretizzare operativamente le ambiziose finalità da sempre ben note. Gli ultimi interventi normativi, per la prima volta, si muovono se non altro con la consapevolezza dei precedenti fallimenti e di cosa occorre fare per uscire dal guado. Anche in questo caso però, il successo delle riforme si valuterà in base alla capacità di ottenere quel che è mancato ai tentativi precedenti: coordinamento delle iniziative, penetrazione capillare nelle maglie del complesso ed affollato panorama istituzionale, e, soprattutto, capacità di coinvolgere e motivare i singoli cittadini.

Punti deboli, contraddizioni e pregiudizi del lungo addio alla carta
Da uno sguardo sui comportamenti di molti soggetti pubblici, ma anche degli stessi privati, accompagnati da innumerevoli rinvii da parte del Legislatore, più che di avvio del processo di digitalizzazione della P.A., sembra più consono parlare di lungo addio alla carta. Anche nei provvedimenti normativi non mancano vistose tracce delle tante difficoltà che hanno caratterizzato la complessa evoluzione del processo di informatizzazione del settore pubblico. Non solo con riguardo alle numerose modifiche della normativa in tema di ICT, che si sono stratificate nel corso degli anni, frutto talvolta di ripensamenti e marce indietro. È soprattutto nelle norme dettate per la disciplina dei procedimenti amministrativi che troviamo, da un lato, la declamazione quasi ossessiva delle modalità telematiche obbligatorie, e, dall’altro, non appena ci si addentra nella disciplina procedurale, la riproduzione di modelli, schemi e prassi proprie del tradizionale contesto cartaceo. Queste contraddizioni, disseminate qua e là in moltissimi provvedimenti tanto nazionali quanto regionali, lasciano intendere come il Legislatore sembri esprimere una sensibilità nei confronti della digitalizzazione soltanto di facciata.
Al di là dei toni altisonanti, anche le ultimissime novità normative non nascondono incrostazioni ancora legate all’approccio cartaceo. Si pensi alla nuova disciplina dell’autorizzazione paesaggistica semplificata, ancora in corso di elaborazione. Nello schema di decreto, l’invio telematico della documentazione è indicato come possibile ma non è obbligatorio. Non rappresenta l’unica via di accesso. La mancanza di rigore su questo aspetto, oltre ad entrare in contraddizione con le procedure interamente digitali che governano l’attività degli Sportelli, principali destinatari delle rispettive istanze, continuerà a legittimare le sacche di resistenza all’abbandono del supporto cartaceo.
Ma i sedimenti della concezione cartacea si trovano anche nelle più recenti riforme, che paradossalmente sono ispirate alla volontà di favorire la diffusione della telematica nell’attività amministrativa. Si pensi al D.Lgs. n. 126/2016, attuativo della Riforma Madia, noto come “Decreto Scia1”. Anche qui si continua a legittimare il doppio canale, cartaceo e digitale, quando si indica che lo Sportello unico incaricato di trasmettere la Scia unica ad altri Enti o uffici, ai sensi del nuovo art. 19-bis della L. n. 241/1990, sia “di regola telematico”. Come si è già detto in tema di nuova paesaggistica semplificata, questa previsione, oltre a continuare a legittimare la presentazione di carta ad uffici, come gli Sportelli Unici, che si sono magari già da tempo attrezzati per la gestione in digitale, entra in contraddizione con la disciplina di settore degli Sportelli attività produttive ed edilizia, che non prevede deroghe all’uso della telematica. Ancora: l’art. 2 dello Scia1 introduce un obbligo di pubblicazione sui siti istituzionali di moduli standard e di tutti i relativi contenuti in termini di dichiarazioni e attestazioni a corredo, nonché degli allegati. Per assolvere ad un onere informativo circa gli adempimenti burocratici in carico al cittadino o all’impresa, non è necessario pubblicare un modulo sul sito, ma è sufficiente indicare un elenco di quanto necessario, o, ancor meglio, rinviare alla piattaforma on-line, alla quale l’utente deve accedere per inserire i dati da inviare all’Ente. Una volta scelti gli interventi da realizzare, solo allora avrà senso apprendere i contenuti di dichiarazioni sostitutive, attestazioni ed allegati, perché saranno quelli di esclusivo interesse per l’utente. Innumerevoli esempi di questo atteggiamento ambivalente del Legislatore si trovano anche nella normativa regionale.
Altra giustificazione spesso addotta per rinviare l’abbandono del cartaceo, attiene all’eccessiva complessità e onerosità delle norme tecniche in tema di conservazione dei documenti informatici. È spesso accaduto che a fronte di una disciplina così sofisticata e minuziosa come quella in materia di conservazione dei documenti informatici, molti enti abbiamo messo in stand by l’avvio della digitalizzazione per mancanza di strumenti adeguati ad assolvere agli obblighi richiesti, continuando con il sistema cartaceo e senza verificare con altrettanta scrupolosità il rispetto delle norme per l’archiviazione su carta all’interno del proprio Ente. A ben guardare, non c’è nulla di più insicuro dell’archiviazione cartacea. La conservazione, l’integrità e l’attendibilità di un documento in cartaceo sembra apparentemente più semplice e più sicura dell’archiviazione di un file. Questo pregiudizio per il digitale è privo di un reale fondamento, se si pensa a quanti modi esistono per alterare un documento cartaceo senza lasciare tracce, falsificarne il contenuto o la sottoscrizione, sostituire un documento dopo anni con un altro, sottrarre documenti, ecc. Al contrario, ogni operazione svolta all’interno di un software di protocollo è riferita ad un soggetto, è tracciabile e databile. Quindi, procrastinare l’avvio dell’informatizzazione solo perché si diffida dell’integrità dei documenti informatici, quando magari la conservazione del cartaceo avviene senza la minima garanzia, significa appellarsi ad una giustificazione troppo semplicistica e pretestuosa.

Gli effetti dell’informatizzazione su principi e istituti del procedimento amministrativo
Di fronte al progressivo affermarsi della telematica nell’attività amministrativa, gli interrogativi che si pongono sono i seguenti: gli istituti che compongono la struttura del procedimento amministrativo sono stati in qualche modo condizionati nella loro conformazione dal contesto cartaceo in cui da sempre opera l’Amministrazione Pubblica? In altre parole, il tipo di supporto utilizzato per contenere le informazioni ha influito sulle caratteristiche del procedimento? Il passaggio ad una gestione telematica del procedimento ha inciso sulla struttura e sulla funzionalità di tali istituti? E ancora, ha comportato delle conseguenze anche rispetto alla conformazione dei principi generali sul procedimento? Esistono elementi strutturali connaturati al procedimento indipendentemente dalla dimensione cartacea o telematica? Alla luce della ricostruzione contenuta nel Volume, la risposta è senza dubbio positiva, fino al punto di incrinare il tradizionale principio dell’indifferenza del diritto rispetto alla tecnologia . È stato anche dimostrato che la tradizionale suddivisione in “fasi” (iniziativa, istruttoria, decisione, integrazione dell’efficacia) appartiene anche al procedimento digitale. Tuttavia, se per ragioni di consequenzialità giuridica e operativa le fasi del procedimento permangono anche in ambiente digitalizzato, cosa è cambiato dal punto di vista strutturale nel procedimento amministrativo telematico rispetto al procedimento tradizionale su carta? Ad essere cambiate sono le fasi stesse, sia al loro interno che nelle reciproche relazioni tra esse. Attraverso gli strumenti della digitalizzazione illustrati nel Volume, è possibile realizzare più compiutamente i principi e le garanzie che governano l’attività amministrativa rispetto al tradizionale ambiente cartaceo. Ciò significa influire sulla dialettica autorità-libertà, trasformando il rapporto tra P.A. e cittadino in senso più paritario. Le procedure telematiche e gli automatismi implicano una “spersonalizzazione” dei rapporti con i cittadini che non va intesa in senso negativo, ma come presupposto per raggiungere un più elevato standard di imparzialità. Inoltre, le ripercussioni in termini di efficienza, economicità e minori costi di tempo e denaro di un effettivo processo di informatizzazione sono talmente scontate da non meritare ulteriore approfondimento. Possiamo accettare che la tecnologia influisca sul diritto, ma solo per amplificare la portata dei principi e delle garanzie a tutela del cittadino, strumentali ad una più completa, effettiva e tempestiva realizzazione degli interessi e dei bisogni che fanno parte della vita di ognuno.
All’interno del Volume, è sviluppato un approfondito esame del nuovo volto che l’iniziativa, l’istruttoria, la decisione, l’integrazione dell’efficacia, assumono nel nuovo procedimento amministrativo digitale. Connotati e peculiarità delle varie fasi sono illustrati dal punto di vista dell’applicazione pratica, in continuo confronto sinottico tra cartaceo e digitale, con tabelle e schemi riassuntivi.
La gestione dei procedimenti amministrativi mediante strumenti informatici è concetto presente nella normativa sul procedimento fin dal varo della legge n. 241/1990, ma la possibilità di conoscere lo stato di avanzamento della pratica rimane sconosciuta all’interno del CAD fino all’avvento del D.Lgs. n. 179/2016, che la inserisce nel nuovo art. 3 in veste strumentale rispetto alla garanzia dei diritti di partecipazione. La norma non si addentra in ulteriori ragguagli sulle modalità tecniche con cui garantire l’esercizio di tali diritti. Permettere al cittadino di conoscere lo stato di avanzamento dei procedimenti che ha attivato presso un’Amministrazione è un risultato che si può raggiungere da diverse strade, e la fascicolazione informatica interoperabile, di cui si parla ampliamente nel Volume, non è l’unica a disposizione, anche se rappresenta la soluzione più avanzata. In ogni caso, questa forma di automatismo prevista dalla legge, implica che le P.A. si trovino obbligate ad operare mediante sistemi gestionali dell’attività di back-office. L’art. 44 del CAD disciplina minuziosamente le funzionalità del sistema di gestione e conservazione dei documenti con particolare attenzione alle fasi di protocollazione e archivio, ma nulla si dice in merito alla gestione informatizzata della fase intermedia, l’istruttoria, che deve appunto avvenire con l’ausilio di sistemi gestionali dedicati. A questo proposito, il Volume riserva ampio spazio ai problemi connessi all’acquisizione di un software di back-office, che gli operatori pubblici devono conoscere per evitare possibili errori, o peggio, gravi danni economici e funzionali derivanti da soluzioni inadatte.
La diffusione di modalità automatizzate nella gestione dei procedimenti amministrativi tende inevitabilmente a riflettersi anche sulla componente decisoria, anch’essa sempre più incanalata verso strade predeterminate, sia strutturalmente che funzionalmente. Queste sono senz’altro le esigenze del mondo economico ed imprenditoriale, sempre alla ricerca di certezze preventive su iter e tempistiche, esigenze a cui il procedimento telematico può dare una risposta.
L’informatizzazione del procedimento, ancora sconosciuta alla quasi totalità dei servizi e-Gov, favorisce anche un ulteriore avanzamento nella gestione digitale dei procedimenti amministrativi, con particolare riferimento agli “atti” e ai “provvedimenti”, che nei sistemi ibridi, in cui le procedure digitali convivono con operazioni su cartaceo, sono semplici riproduzioni su file di documenti cartacei. Quando la digitalizzazione diventerà completa, gli atti intermedi, il provvedimento finale, compresi gli atti gestionali e quelli deliberativi appariranno dematerializzati e destrutturati. Le stesse procedure di redazione e formazione degli atti risulteranno completamente stravolte, secondo particolari tecniche e modalità. Le simulazioni contenute nel Volume offrono a tal proposito numerosi esempi, anche con riferimento all’interfaccia grafica dei nuovi provvedimenti assunti in ambiente completamente digitale.

Procedimento telematico e gestione documentale
Le dinamiche relative ai flussi documentali sono utili per comprendere come, nella pratica, la nuova conformazione degli istituti procedimentali può essere applicata ai casi concreti. È possibile classificare la gestione documentale in cinque diversi Modelli ordinati progressivamente in base al livello di informatizzazione del flusso:
1) interamente in cartaceo;
2) ibrido, su cartaceo ma con informatizzazione di alcuni passaggi;
3) digitalizzato con accesso dedicato;
4) digitalizzato e interamente automatico;
5) digitalizzato, interamente automatico ed interoperabile.
Il flusso in ciascun Modello è illustrato con diagrammi e schede che offrono immediata dimostrazione delle semplificazioni procedurali progressivamente raggiungibili implementando l’informatizzazione delle attività. Ampio spazio è dedicato anche a descrivere le “azioni scorrette” compiute dai privati e dalle amministrazioni che hanno messo in opera iniziative di informatizzazione solo parziali, dando origine a fenomeni di “falsa informatizzazione”.
Altra tematica che necessita approfondimento attiene alla modulistica unificata standard che, com’è noto, ha preso avvio all’interno dell’Agenda della Semplificazione e si è tradotta in una serie di iniziative che hanno coinvolto lo Stato, le Regioni e gli Enti locali, pervenendo al risultato di ottenere moduli unici a livello nazionale (salvo alcuni adattamenti regionali) per edilizia, ambiente e attività produttive. A livello pratico, queste iniziative hanno prodotto moduli in formato .pdf che a ben guardare non costituiscono altro che una rappresentazione “fotografica” dei vecchi modelli cartacei. In realtà, per ottenere un’autentica digitalizzazione del procedimento, il vero lavoro doveva iniziare proprio laddove si è pensato di concluderlo, attivando un processo di ingegnerizzazione della modulistica che prevedesse il passaggio dal modulo “statico” (su cartaceo o .pdf) a quello “dinamico”, risultante dall’inserimento su piattaforme di front-end delle sole informazioni di interesse per l’utente. Questo aspetto è stato semplicemente ignorato. Ha fatto la sua comparsa in sede di conversione del decreto n. 90/2014, ma poi è stato eliminato dal nuovo CAD, in quanto nel frattempo non ha ricevuto attuazione se non per iniziativa di singole realtà.
Infatti, la Scia unica trova il suo terreno d’elezione all’interno di una procedura on-line di compilazione della modulistica che preveda uno schema dinamico, descritto nel dettaglio al paragrafo precedente, mediante il quale l’utente può costruire, di passaggio in passaggio, un modello “su misura”, in base alle proprie necessità. In tale modello, sono indicate solo le informazioni richieste dagli interventi selezionati, in ragione dell’atto o del titolo abilitativo da segnalare, comunicare o notificare. Anche il decreto “Scia2” (D.Lgs. n. 222/2016), relativo alla semplificazione dei regimi amministrativi, è costruito sulla concentrazione dei regimi amministrativi e prevede la contestuale presentazione di Scia unica nei casi previsti.

Informatizzazione dell’attività amministrativa e riflessi sull’organizzazione
Ogni livello istituzionale dovrebbe essere ormai consapevole che la partita sull’efficacia delle politiche in tema di digitalizzazione si gioca in gran parte sul terreno del riassetto organizzativo. Se numerose iniziative legate all’informatizzazione non hanno prodotto i risultati sperati in termini di miglioramento dei servizi e minori costi, è soprattutto per la carenza di modelli uniformi e strumenti adeguati a trasformare gli assetti organizzativi preesistenti in modo corrispondente alle esigenze dei nuovi processi digitali. Il problema è inoltre di tipo culturale, essendo la scienza dell’organizzazione materia scarsamente praticata a livello formativo e ancora più sconosciuta nel vissuto degli apparati pubblici. Le stesse procedure di reclutamento ed assunzione si sono sempre concentrate sulle componenti nozionistiche e sulla conoscenza della normativa, quasi mai è stata posta attenzione agli aspetti relativi alla buona gestione, alla managerialità, all’efficienza dei processi. Il risultato di questo approccio formalistico, è il progressivo consolidarsi della burocrazia come sistema “chiuso”, cristallizzato in meccanismi immutabili.
In un tale scenario, si comprendono con facilità le ragioni per cui, molto spesso, i computer vengono usati come moderne macchine da scrivere, e l’informatizzazione è calata sul modello organizzativo preesistente, strutturato in base alle esigenze del flusso cartaceo, senza porsi il problema di dover modificare gli assetti in funzione dei nuovi modelli operativi e funzionali offerti dalla digitalizzazione. Anzi, al contrario, è apparso spesso più agevole ed immediato cercare di adattare le nuove funzionalità informatiche alle esigenze della struttura organizzativa già esistente.
L’approccio metodologico seguito nel Volume evidenzia il rapporto di corrispondenza tra i Modelli di gestione documentale illustrati in precedenza e le rispettive declinazioni e ricadute sugli assetti strutturali. Per facilitare il parallelismo tra sede funzionale e sede organizzativa, è stata mantenuta la stessa numerazione tra Modelli di gestione e Modelli di organizzazione. Il testo illustra con i dovuti approfondimenti, supportati da schemi e diagrammi, le soluzioni tecniche da adottare per adeguare una struttura burocratica alle potenzialità offerte dal contesto telematico, al fine di ottenere la migliore realizzazione dei diritti digitali. La richiamata corrispondenza tra Modelli gestionali e organizzativi, comporta che anche gli strumenti messi a disposizione siano gradualmente orientati verso la prospettiva digitale più evoluta, rappresentata dal Sistema Pubblico di Connettività (SPC), passando tuttavia per formule intermedie già pronte per essere applicate in ambienti in cui carta e digitale ancora convivono parallelamente.
Altro aspetto strettamente connesso all’organizzazione, attiene alla fascicolazione. Elemento spesso trascurato se non addirittura ignorato nella gestione documentale informatizzata, costituisce invece la porta d’accesso per l’esercizio dei diritti digitale, ed è destinato ad assumere un’importanza sempre maggiore in vista dell’introduzione dell’SPC, nell’ambito del quale sarà interconnesso ed interoperabile. Nel Volume sono erogate varie tecniche per organizzare al meglio la fascicolazione in digitale, tenendo presente che eventuali errori si abbattono direttamente sulla fruibilità degli archivi (difficoltà a ritrovare le pratiche e i fascicoli stessi).

Principi giurisprudenziali e procedimento informatizzato: quando i diritti digitali diventano L.E.P.
La casistica giurisprudenziale in materia di procedimento telematico non è particolarmente ricca di precedenti, essendo ancora piuttosto rari i casi in cui i nostri giudici hanno avuto occasione di pronunciarsi in merito all’esercizio delle libertà digitali. I casi più rilevanti hanno interessato l’uso della Posta Certificata, la validità della documentazione allegata alla Scia, la possibilità di considerare gli inadempimenti e le inadeguatezze degli apparati pubblici nei confronti dell’esercizio delle libertà digitali, come cause legittimanti la proposizione della class action pubblica. Le ipotesi emerse sono le seguenti: a) pratica presentata da privato con allegati non leggibili o priva di alcuni allegati;
b) pratica presentata da privato in cartaceo;
c) pratica presentata da impresa in modalità cartacea ad ufficio non competente;
d) pratica presentata da impresa in modalità digitale ma non automatizzata;
e) Richiesta di potersi avvalere delle tecnologie informatiche per dialogare con la P.A.;
f) Documentazione non conforme alle norme previste dal bando in quanto presentata in cartaceo su modelli diversi da quelli prestabiliti.
Altro importante ambito di indagine riguarda gli effetti della digitalizzazione sui vizi dell’atto amministrativo telematico, che si estendono ad ulteriori ipotesi non contemplate in ambito cartaceo. Di conseguenza, anche le categorie attinenti ai suoi vizi per illegittimità, con particolare riferimento alle figure sintomatiche dell’eccesso di potere, andranno ripensate in ragione dell’impatto dovuto alle nuove tecnologie . Nel Volume si illustra un catalogo ipotetico di tali forme di illegittimità da attività amministrativa telematica.
Con la trasformazione dell’istruttoria in senso più rigido, schematico e standardizzato, in forza del passaggio al digitale, si è presentato in alcuni casi, e si presenterà in modo sempre crescente in futuro, il problema di sottoporre al vaglio della legittimità i possibili e assai numerosi fenomeni di “fuga” dalle procedure digitalizzate. Si potrebbe ipotizzare che tali violazioni attengano a norme sul procedimento o sulla forma degli atti, costituendo così il presupposto per l’applicazione della disciplina contenuta nell’art. 21-octies della legge n. 241/1990. Com’è noto, la disposizione introduce nella disciplina del procedimento amministrativo la categoria dei c.d. “vizi non invalidanti”, che restano in tutto e per tutto vizi di legittimità e non degradano a mera irregolarità, tuttavia non comportano l’annullabilità dell’atto sulla base di valutazioni, attinenti al contenuto del provvedimento, effettuate ex post dal giudice circa il fatto che il provvedimento non poteva essere diverso. La ratio della previsione normativa è finalizzata a far prevalere gli aspetti sostanziali su quelli formali, nelle ipotesi in cui le garanzie procedimentali non produrrebbero comunque alcun vantaggio, o a causa della mancanza di un potere concreto di scelta da parte dell’Amministrazione, o quando il vizio può essere escluso perché è stato dimostrato che il provvedimento non avrebbe comunque potuto avere altro contenuto.
Tuttavia, dall’analisi dei precedenti specifici emerge che i connotati dell’istruttoria telematica non si possono configurare alla stregua di vizi formali non invalidanti, in quanto le finalità della digitalizzazione coincidono con quelle alla base degli stessi principi di conservazione degli atti viziati solo formalmente, e cioè efficienza, economicità e speditezza del procedimento. In altre parole, quando la regolamentazione prevede il ricorso esclusivo al digitale, la presentazione della pratica in modalità difformi dallo standard implica di per sé un rallentamento delle attività che si ripercuote sull’interesse dello stesso richiedente, oltre che degli altri utenti.
Chi guarda ancora con diffidenza all’avvento della digitalizzazione nell’attività amministrativa e ai suoi effetti sul procedimento, è portato a pensare che rigidità, schematismi e standardizzazioni propri dell’istruttoria telematica costituiscano un problema da superare, una sorta di deriva tecnologica a fronte della quale lo strumento dei vizi formali non invalidanti può rappresentare un correttivo. In realtà abbiamo visto a quali esigenze irrinunciabili si ispira il procedimento telematico: principi di celerità, efficienza ed imparzialità che non possono essere pregiudicati da esigenze di conservazione che in questi casi determinerebbero appesantimenti e rallentamenti, gli stessi effetti che la disciplina dei vizi non invalidanti vorrebbe evitare.
La Sentenza della Corte Costituzionale n. 251 del 25 novembre 2016 ha colpito con la sanzione dell’incostituzionalità alcuni decreti attuativi della Riforma Madia. Dei provvedimenti fatti oggetto di ricorso, solo il D.Lgs. n. 179/2016 è rimasto intatto. In questa Sentenza la Consulta assume in via interpretativa un’importante presa di posizione che sembra in linea con la tesi espressa in più punti del Volume, circa la possibilità di riconoscere all’accesso ai servizi digitali della P.A. valore di garanzia minima, di diritto non rinunciabile e, in una prospettiva di superamento del digital first, obbligatorio anche per il cittadino e non solo per l’impresa. La Corte comincia a scrivere una pagina giuridica ancora sconosciuta all’attuale panorama normativo: partendo dall’esigenza primaria di garantire diritti e servizi digitali in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, ne riconosce l’importanza anche ai fini di determinare livelli essenziali delle prestazioni. Finora, il Legislatore si è espressamente richiamato ai livelli essenziali delle prestazioni (l.e.p.) solo con riguardo alle imprese (D.L. n. 112/2008) e alla modulistica unificata standard (D.L. n. 90/2014), mai lo aveva fatto riguardo a diritti e servizi digitali al cittadino. L’ulteriore sviluppo di questo percorso interpretativo mette in seria crisi il principio del digital first. Ammettere la possibilità di reintrodurre il cartaceo nel caso in cui il cittadino non sia informatizzato, magari perché anziano o appartenente a fasce deboli, significa negare un diritto, quello alle prestazioni digitali, per il quale gli Enti hanno il compito di offrire un livello qualitativo uniforme ed essenziale su tutto il territorio. È di tutta evidenza come le amministrazioni non dovrebbero porre in essere prassi atte a negare i diritti digitali, semmai il contrario: adoperarsi per la loro più piena realizzazione, facendo ricorso a determinati strumenti, tra cui quelli illustrati nel Volume.

Scenari evolutivi: dalla rappresentazione alla conoscenza
L’attività amministrativa del futuro continuerà a muoversi attraverso l’uso di moduli e provvedimenti amministrativi in forma digitale ma strutturati ancora come riproduzioni dei loro corrispondenti cartacei? Oppure abbiamo già la possibilità di orientarci verso direzioni diverse?
Il punto di debolezza di un modulo informatico che riproduce il cartaceo è la sua staticità, che comporta inevitabilmente la presenza contestuale di tutte le opzioni possibili, anche se non verranno selezionate per intero, perché non tutte saranno rilevanti nel caso concreto. Le cose cambiano se la compilazione avviene mediante una piattaforma di front-end con procedura guidata, in cui l’utente avanza per step successivi, costruendo un percorso che lo condurrà ad ottenete un modulo dinamico con solo ciò che lo interessa.
Nelle realtà in cui operano sistemi in grado di generare moduli dinamici, notiamo tuttavia come questi ultimi siano ancora molto appesantiti da un apparato strutturale sovrabbondante e perciò inutile. Ancora troppo forte è la rassomiglianza con i modelli cartacei che invece si potrebbero veramente superare se le potenzialità del modello dinamico fossero portate all’estremo. In fondo, all’Amministrazione cosa occorre per poter condurre un’istruttoria? Servono le informazioni, i dati. I moduli, anche nell’accezione più avanzata, sono pur sempre contenitori di dati, involucri che rappresentano informazioni e null’altro. Quindi è in questa direzione che deve concentrarsi la successiva evoluzione tecnologica, sviluppando il passaggio dalla rappresentazione dei dati alla loro semplice conoscibilità.

Casi pratici
Nel Volume si propone uno schema per la stesura di uno studio di fattibilità per la gestione associata di servizi comunali mediante convenzione, conferimento in Unione di Comuni o a seguito di fusione di Comuni. Il nuovo assetto organizzativo permetterà di conseguire i seguenti obiettivi:
• miglioramento qualità delle prestazioni erogate;
• maggiore quantità di servizi e attività svolte;
• razionalizzazione dei costi attraverso processi più efficienti, con invarianza di spesa.
Gli elementi strategici su cui puntare per raggiungere gli obiettivi sono digitalizzazione e rioriganizzazione. nella realizzazione di una gestione associata si possono intraprendere due strade diametralmente opposte:
1) riduzione dei costi, accompagnata da una gestione equivalente rispetto ai servizi erogati in forma frammentata. Il personale viene ridotto e gli esuberi sono assegnati ad altre funzioni;
2) miglioramento della qualità e quantità dei servizi attraverso le razionalizzazioni rese possibili dalla gestione associata. La spesa rimane invariata e, progressivamente, si riduce.
Un prospetto indica, per ogni azione, i tempi di realizzazione, i relativi costi, nonché gli effetti sull’attività e sulla spesa.
A completare il quadro degli strumenti, un cd contiene una serie di strumenti operativi per la gestione associata e digitalizzata dei servizi: schemi di atti, convenzioni, prospetti finanziari e progetti organizzativi.

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