Per chi non lo sapesse, in Italia vige il CAD, Codice dell’Amministrazione Digitale (decreto legislativo n. 82/2005), che nel corso della sua tormentata esistenza è stato modificato trenta volte, di cui sei con restyling completi. Sono poche le leggi che hanno subito una violenza simile.
È il progresso tecnologico a richiedere continue modifiche della norma, si dirà. E invece no, la tecnologia non c’entra. È la mancanza di un disegno organico, di uno straccio di visione che ha trasformato il testo del CAD in un colabrodo. Ventiquattro ritocchi e sei interventi pesanti in meno di quindici anni dimostrano che chi ci ha governato non ha mia avuto la minima idea delle trasformazioni in atto nel Paese, né di cosa fosse la nuova società digitale, o di quali servizi il cittadino informatizzato avesse bisogno. Trenta modifiche sono servite per tentare una risposta ai problemi del momento, ad accontentare questa o quella lobby, mai a dettare un’agenda strategica orientata al domani. Sono passati quasi trent’anni dai tempi della mai decollata Carta d’identità elettronica di Bassanini, e oggi, la stragrande maggioranza dei cittadini italiani litiga con il computer, non sa che cos’è una firma digitale, e in molti casi non sa usare la posta elettronica, per non parlare della PEC o dei pagamenti digitali. La colpa non è solo della pigrizia dei cittadini che non vogliono imparare, ma è soprattutto della scuola e dell’eccessiva complessità dei portali per l’accesso ai servii on-line della P.A., uniti alla scarsa professionalità digitale degli operatori pubblici, ancora molto legati al cartaceo. A quando un disegno strategico che diffonda le conoscenze informatiche a tutti i cittadini, che insegni loro ad usare il web, a comprare e a vendere su internet, ad usare la rete per presentare una pratica o partecipare alla vita pubblica? A quando un intervento sulla macchina amministrativa che metta finalmente in soffitta i vecchi modi di lavorare cartacei? Non serve l’ennesimo ritocchino al volto ormai deforme del CAD, non serve una nuova legge, non serve un Commissario straordinario. Serve una fase esecutiva che realizzi i tanti principi dell’amministrazione digitale, che diffonda la padronanza dei diritti digitali tra i cittadini e le imprese. Che renda i servizi più accessibili e più semplici. Che imponga l’uso di sistemi integrati in grado di dialogare tra loro. E soprattutto serve qualcuno che verifichi la qualità e l’efficacia delle operazioni realizzate. Serve insomma una svecchiata generale che metta al centro le potenzialità del digitale nel costruire la società di domani.
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