Stop alle aperture domenicali dei negozi. Dopo sei anni di liberalizzazioni quasi assolute, torna alla ribalta la vecchia pianificazione. È questo che leggiamo nelle proposte di legge, ben cinque, attualmente in discussione alla Camera. Chi ci guadagnerà? Di sicuro non i commercianti tradizionali, che perdono la possibilità di decidere quando è più conveniente tenere alzata la serranda. Non i consumatori, che dovranno dire addio allo shopping domenicale. Molto probabilmente ci guadagneranno i giganti dell’e-commerce, loro sì aperti h 24. Di questa disparità si sono resi conto anche i promotori della “controriforma”, ma la soluzione offerta fa un po’ sorridere: chi si lascerà tentare dalla comodità di un acquisto on line nei festivi, dovrà attendere il primo giorno lavorativo successivo per vedere evaso l’ordine. Poco male, si aspetterà un giorno in più. Intanto, il set da palestra o il paio di scarpe tanto desiderato sono già nostri.

Insieme ai vecchi divieti, è stato rispolverato anche il lessico della tanto vituperata pianificazione: concertazione, zonizzazione, deroghe, economia turistica, che ben presto torneranno a regolare le scelte delle amministrazioni. Quel che è peggio, è che per spuntare qualche deroga in più in sede locale, ai sindaci toccherà riesumare anche l’espressione “popolazione fluttuante”, che ci fa pensare a certi quadri surrealisti.
Ma il passato non ritorna mai esattamente uguale a prima. Il divieto di apertura domenicale e festiva non è generalizzato. Le stesse proposte di legge risparmiano le aree turistiche e determinate zone del territorio. Prima delle liberalizzazioni, non era per nulla scontato che un negozio situato in una città turistica potesse tenere aperto la domenica. Esiste dunque la possibilità di derogare ai divieti a certe condizioni. Sappiamo che il diavolo si nasconde nei dettagli, ed è su questa partita che si giocherà il braccio di ferro tra regioni, comuni, associazioni, sindacati e tutti coloro che sugli orari di apertura vorrebbero continuare a fare di testa propria. E poi bisognerà vedere, col tempo, se l’impianto dei nuovi divieti reggerà al vaglio della Corte costituzionale, da sempre schierata per le liberalizzazioni.
La scintilla che ha riportato in auge il dibattito sulla regolamentazione degli orari, peraltro mai sopito, è la situazione che si è venuta a creare nella grande distribuzione, dove le aperture festive avvengono spesso in barba ai diritti dei lavoratori, costretti a stare lontani dalla famiglia nell’unico momento in cui è possibile vedersi tutti insieme, e cioè la domenica. Basterebbe imparare dai settori che da sempre convivono con il lavoro festivo: ad esempio forze di polizia, trasporti, personale sanitario. Per garantire i diritti della famiglia, si programmano le turnazioni. L’occasione potrebbe essere propizia per assumere nuovo personale part-time. Il cammino è ancora lungo, e una volta approvata, la versione definitiva troverà sulla sua strada molti ostacoli: una montagna di giurisprudenza di matrice anche europea che in questi anni ha sostenuto le liberalizzazioni, per quanto non siano mai state assolute. Un tessuto normativo ben radicato a difesa della libertà di fare impresa, che non può essere limitata a priori per favorire la categoria dei piccoli negozi a scapito dei centri commerciali. Una serie di segnalazioni dell’autorità antitrust, l’istituzione più agguerrita nella difesa del diritto di aprire i negozi nei festivi. Le associazioni dei consumatori, che hanno già stigmatizzato l’iniziativa come un anacronistico ritorno al passato. I singoli commercianti, che non potranno più essere padroni in casa propria. Ma soprattutto, a fare la differenza saranno le disparità con i portali del commercio on-line, che la serranda continueranno a tenerla alzata anche la domenica.
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