C’è ancora qualcuno che non sa cosa sia un D.P.C.M.? Ai tempi della pandemia, tutti hanno imparato cosa significhi questa astrusa sigla burocratica, diventata in breve tempo lo strumento regolatore del nostro vivere quotidiano. Per poco che se ne possa sapere di queste cose, accettare che un provvedimento amministrativo possa incidere direttamente su diritti protetti dalla Costituzione, come la libertà di movimento o di fare impresa, è tutt’altro che facile.
Ma la burocrazia non è solo astrusa, è anche prolifica. Esce un decreto? Ecco subito pronta la circolare ministeriale o prefettizia che lo spiega, con infiniti richiami, premesse e citazioni normative. Poi tocca all’ordinanza regionale, da leggere in parallelo con il decreto nazionale per trovare le differenze, ed infine è la volta dell’autocertificazione, con cui dichiari che hai studiato le norme e che ti stai spostando per un motivo legittimo.
Intanto che all’ora di cena escono norme applicabili dalla colazione del giorno dopo (è il caso dell’ultima ordinanza della Regione Emilia-Romagna, uscita il venerdì sera per il sabato mattina), i sistemi di tracciamento dei contatti sono ormai in tilt, perché la crescita a ritmo galoppante dei contagi non consente più di ricostruire i contatti con il metodo della telefonata. Servirebbero automatismi che non ci sono.
La piaga della FAQ
Se da una parte non si sfruttano le potenzialità del digitale dove servirebbe, se ne fa un abuso quando potremmo volentieri farne a meno. È il caso delle FAQ, altra sigla entrata nelle discussioni dei bar, almeno fintanto che erano aperti. Non c’è decreto o ordinanza che non produca le sue brave FAQ, risposte pubblicate sui siti istituzionali con lo scopo di chiarire dubbi, passaggi non chiari o casi particolari. Le FAQ nascono sull’onda dell’incertezza e della complicazione, ma anche della mania di pretendere sempre una risposta per tutto. Da diversi anni le normative sono scritte come se si trattasse del libretto di istruzioni di un elettrodomestico, e allora è troppo forte la tentazione di continuare a scrivere e a comunicare in modo informale per spiegare e chiarire quello che gli atti ufficiali non sanno fare più. A peggiorare le cose è la bassa qualità delle risposte: spesso scritte con imprecisione e superficialità, arrivano al paradosso di creare interpretazioni contrarie al testo del documento ufficiale a cui si riferiscono. E allora via a commenti su commenti, spiegazioni delle spiegazioni delle spiegazioni…, in un bla bla senza fine dove le FAQ diventano fake news.
Scrivere di meno e meglio
In questo campo, meno si scrive, meglio è. Chiarezza, brevità, essenzialità e univocità della comunicazione sono il punto fondamentale da cui partire per essere comprensibili. Se un testo è scritto bene, non c’è bisogno di tante circolari, chiose e faq. Quando si adottano norme che tempo 24 ore impattano in modo immediato sulla vita quotidiana dei cittadini, non bisogna avere paura di essere semplici. La semplicità di un testo non ne sminuisce il valore, ma, al contrario, ne evidenzia il significato, soprattutto in un contesto in cui ogni frase viene subito amplificata e dispersa nei mille rivoli della comunicazione virtuale. Se qualcuno ha bisogno di esempi su quale possa essere un testo normativo scritto bene, leggetevi la Costituzione o il Codice civile. Documenti scritti quasi un secolo fa, sono ancora attuali e di una chiarezza a volte fulminante. E questo soprattutto perché le frasi di questi testi sono “brevi” e in un certo senso “semplici”. Ma non è solo un problema tecnico di cultura giuridica, quello dell’incapacità di comunicare per troppa comunicazione è uno dei problemi fondamentali del nostro tempo.
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